Cocco De Pippa
“Cocco de Pippa” , una forma gergale del centro Italia di etimo incerto - forse fa riferimento al legno di cocco come al più adatto per fare una pipa - col suo rimando a “cosa fatta ad hoc, a regola d’arte” vuole esprimere questo concetto. E’ un nome che riassume la volontà e l’opera di collegare al vino le tecniche, i materiali e gli ambienti ad esso più confacenti, individuando il punto in cui si incontrano, nel rispetto reciproco, la materia vivente, gli strumenti e il lavoro dell’uomo.
Situato nelle Marche, sulla collina litoranea del Comune di Senigallia (zona del Rosso Piceno), la nostra vigna risale al 2001 e produce uve rosse Montepulciano e Sangiovese (oltre al Merlot, per la parte libera del disciplinare della DOC). In una più ridotta parte del vigneto, è coltivato l’Esino DOC bianco, un uvaggio tra Verdicchio (che entra al 50% ), Malvasia e Trebbiano. Le nostre uve sono certificate biologiche sin dall’inizio della produzione, anche se metodi e disciplinari di coltivazione riferibili all’agricoltura biologica erano stati introdotti in azienda già da tempo. A differenza della viticultura convenzionale dove si preferisce l’inerbimento del terreno e, eventualmente, l’uso di disseccanti chimici sotto il filare, nel nostro vigneto è praticata la vangatura meccanica, annualmente a file alterne. Ciò opera nel contenimento delle erbe spontanee e consente un immagazzinaggio di acqua durante le stagioni più piovose.
Potatura Simonit-Sirch
Per la potatura, effettuata nell’osservanza dei cicli lunari idonei, ci siamo orientati verso l'utilizzo del sistema Guyot, anche se non nella sua forma convenzionale ma nella versione Simonit-Sirch. Si tratta di una riscoperta e una attualizzazione di tecniche praticate in passato nella gran parte dei vigneti. Oggi questa tecnica è sopravvissuta, ad esempio, nella forma della vite ad alberello pantesco di Pantelleria, prima pratica agricola a ottenere nel 2014 il riconoscimento di “patrimonio dell’umanità” da parte dell’Unesco. La longevità dei vigneti allevati in questo modo - si è finalmente compreso dopo decenni di morìa nei vigneti europei dovuta a malattie del legno - dipende dal fatto che i tagli vengono effettuati sempre sul legno giovane, evitando tagli grossi che possano rappresentare un varco per gran parte di malattie.
Legature dei tralci
La nostra azienda per la legatura dei tralci, a differenza di molte che sono solite usare materiali plastici, ha deciso di riadottare la legatura con rami di vimini, raccolti all’atto della potatura del salice da vimini (salix viminalis). Tale specie arborea era, dalle nostre parti, quasi del tutto scomparsa; un lavoro di ricerca di qualche esemplare sopravvissuto ha permesso la ripiantumazione e poi, nel tempo, l’utilizzo nel vigneto.
La lunga storia del vino e del legno, il loro perfetto confarsi, la capacità del legno di conferire al vino il giusto grado di ossigenazione, la sua lenta decantazione e la sua progressiva chiarifica: sono queste le idee cardine che guidano il nostro lavoro e la nostra passione. Nel corso degli ultimi trenta-quaranta anni la gran parte delle cantine, per motivi principalmente economici, ha smesso di utilizzare questo materiale, sostituendolo prima col vetroresina, poi con l’acciaio, per recuperarne un utilizzo sotto la modalità del barricaggio. Noi restiamo saldi nei nostri convincimenti. Numerose sono le interazioni che si instaurano tra contenitore e contenuto, interazioni che determinano cambiamenti sostanziali su entrambi, cambiamenti piuttosto intensi che, se non correttamente sorvegliati e governati, possono diventare anche negativi. La porosità naturale del legno provoca la lenta e graduale microssigenazione del vino, di qui la sua maturazione e una buona parte del suo affinamento. Il legno,inoltre, cede al vino numerosi suoi costituenti e, a sua volta, ne riceve. Il più evidente di questi è il magnifico e rilucente cremor tartaro, o semplicemente tartaro, che si deposita sulle pareti interne della botte e che alle volte si può rinvenire sul fondo delle nostre bottiglie, lasciate più o meno invecchiare. Questo fenomeno, alle volte non gradito dal bevitore, è però segnale evidente di bassissima manipolazione e di naturalità del vino: basta fare attenzione all’atto della mescita, si tratta di particelle abbastanza grandi e quasi mai in grado di intorbidare il vino.
Ogni botte, ogni anno, sia per qualità proprie, sia per la storia vinaria che porta con sé, si disporrà a consegnarci un vino diverso da quello di un’altra; contemporaneamente riceverà dalle caratteristiche di quanto ha tenuto in sé in quell’anno ulteriori impronte e ulteriori caratterizzazioni. Negli anni passati, di concerto con un mastro bottaio, si è proceduto alla stabilizzazione di botti già in dotazione dell’azienda e, contemporaneamente, si sono ricercati nelle nostre campagne botti e tini da tempo dismessi. Poi, il paziente lavoro al loro recupero e restauro: un processo lungo che richiede, prima dell’entrata stabile in uso, tre-quattro anni di sanificazione e avvinamento.
I tini antichi
Appena raccolte, le uve vengono pigiate e private del raspo; di qui poste nei tini di legno (uno di essi porta impressa la data 1897, la sua data di fabbricazione), per essere avviate alla fermentazione. Questa si innesca autonomamente e naturalmente dopo alcune ore, senza necessitare di lieviti.
Non viene attuato alcun condizionamento della temperatura né degli ambienti, né dei vasi vinari, grazie al fatto che la cantina, adiacente al vigneto da cui riceve le uve fresche, si trova seminterrata e grazie alla scelta dei materiali con i quali la cantina è stata via via ristrutturata. Ogni intervento edilizio, infatti, è stato effettuato conservando il legno (travi e tavolato del soffitto), la calce (muri e intonaco), il mattone cotto (muri, pavimento). Sono materiali naturali che, oltre a garantire sotto il profilo strettamente salutistico ( non hanno subìto trattamenti e dunque non rilasciano alcun tipo di inquinante nell’aria ), garantiscono corretta traspirazione, tenuta della temperatura e, cosa decisiva per il legno delle botti, corretta umidità dell’aria.